Forse l’intervento dei medici cubani non era del tutto disinteressato

 

Ho letto su Facebook molti post che esprimono soldarietà per i medici cubani in missione a Torino per il covid19. Per come li conosco, sono sicuro che i cubani che potessero leggerli lo farebbero con le lacrime agli occhi per l’emozione.Mi permetto però di fare un piccolissimo appunto su una frase che, in mezzo a tante lodi, si inserisce in modo sibillino in un ragionamento che risulta, alla fine, esattamente anti-solidale… La frase, tra parentesi, diceva: “forse [l’intervento dei medici cubani] non era del tutto disinteressato”.

Spero vorrete perdonarmi – sia l’amico che l’ha scritto che tutti quelli che la pensano così – ma se scrivo questa cosa è solo perché, nel nostro mondo, siamo intrisi di una cultura e una sensibilità così “pelose” – instillate col biberon e poi attraverso un’infinità di informazioni spesso subliminali e a volte smaccatamente false – che non sempre riusciamo tutti a guardare oltre il primo velo e gli aspetti materiali e utilitaristici. Ecco, per sgombrare il campo da questi aspetti, vorrei precisare che i 38 volontari della Brigata Henry Reeve (20 medici e 18 infermieri) che sono venuti a Torino, non hanno percepito nessun tipo di remunerazione: zero. A loro è stato offerto vitto e alloggio dalla Regione e dal Comune, e i loro viaggi aerei sono stati pagati da una multinazionale italiana con sede a Torino che non ha voluto sbandierare la “sponsorizzazione” (anche qui, forse, ci sarebbe da chiedersi perché, ma non certo per screditarla!) e per questo non lo farò nemmeno io.

Dopodiché, la risposta alla questione se la loro generosità sia stata o meno disinteressata… beh, ti dirò che sì, gli interventi a Torino e a Crema, così come quelli che dal 1962 fanno in tutto il mondo, sono stati e sono interessatissimi: a salvare vite. Quando l’estate scorsa chiesi a uno dei medici: “Certo che per voi del Terzo Mondo deve essere motivo di grande orgoglio venire in soccorso del Primo Mondo, vero?”, lui mi stroncò: “E’ motivo di orgoglio salvare vite dovunque andiamo nel mondo, non siamo qui per fare politica”.

Non voglio annoiare: chi vuole può approfondire la storia della Brigada Henry Reeve con la raccomandazione, però, di non fidarsi troppo dei mezzi di informazione occidentali perché, ad esempio, dei duecento medici cubani accorsi in Sierra Leone a combattere contro l’ebola, nell’articolo di otto pagine pubblicato a suo tempo da Internazionale, non c’era la minima menzione, mentre degli 80 medici in tutto tra inglesi, francesi, italiani e nordamericani, invece sì.

E quindi sì, bisogna ammettere che comunque un “secondo fine” ‘sti cubani probabilmente ce l’hanno, se è far sapere cosa sono e cosa fanno, e se vogliamo considerare “secondo fine” una cosa che dovrebbe essere invece un dovere morale di qualunque cittadino del mondo.

Secondo fine potrebbe essere, per esempio, far sapere che i cubani da 60 anni sono vittime di una vessazione che li costringe a un’economia di guerra in tempo di pace ad opera del paese più potente del mondo. I cubani la chiamano blocco, e non embargo, perché mentre il secondo è perfino contemplato, il blocco che sanziona anche i paesi che mantengono indirettamente rapporti con Cuba è contro il Diritto Internazionale.

Oppure far sapere, per esempio, che questo blocco non è solo un fatto teorico, ma sono tre miliardi di dollari di export mancato; 285 milioni di danno finanziario; di produzione persa per 95,5 milioni nell’industria, 238 milioni nelle costruzioni, 312 nei trasporti, 125 nell’energia, 610 nei servizi, 160 nell’industria farmaceutica, 160 nella salute, 888 nel turismo e per 500 milioni nell’agricoltura.

O ancora, per esempio, far sapere che dal 1959 i cubani sono vittime di azioni terroristiche che hanno causato più di 2000 morti e più di 3000 mutilati, ma il loro figura nella lista nera dei Paesi che alimentano il terrorismo. Tra i più di 2000 morti c’è anche un ragazzo italiano, Fabio Di Celmo, che nel 1997 morì per l’esplosione di una delle nove bombe collocate nel giro di pochi mesi in altrettanti alberghi dell’Avana per scoraggiare il promettente aumento del turismo che stava portando al Paese valuta pregiata. L’esecutore materiale fu arrestato e il mandante dichiarò pubblicamente la sua responsabilità in un’intervista rilasciata a una televisione nordamericana, quando disse che il ragazzo italiano si era trovato a passare nel posto e nel momento sbagliato. Luis Posada Carriles, questo il suo nome, è stato libero di passeggiare per le strade di Miami fino al giorno della sua morte, a 90 anni, nel maggio del 2018.L’Italia non ha mai neanche fatto finta di chiederne l’estradizione.

Oppure far sapere, per esempio, che nel 1976 un aereo di linea della compagnia di bandiera cubana esplose dopo il decollo dall’aeroporto delle Barbados. Nessun superstite. L’aereo riportava a casa la nazionale giovanile di scherma, 24 tra ragazze e ragazzi, felici per la vittoria nel Campionato Centroamericano. Tra gli altri passeggeri, un’altra decina erano giovani guyanesi che si stavano recando a Cuba dove avrebbero frequentato la Facoltà di Medicina con le borse di studio che il governo cubano regala ai poveri del latinoamerica, a condizione che per 5 anni, ritornati nel loro paese, esercitino la professione gratuitamente nelle zone più svantaggiate.

Infine, per esempio, far sapere che esiste una legge degli Stati Uniti che prevede la concessione – in accordo con il governo cubano – di 20 mila visti emigratori all’anno ai cubani che ne facciano richiesta, che però non sono mai stati elargiti in misura maggiore di 2000. E poi che esiste un’altra legge che, a diffrenza dei migranti provenienti dal resto del mondo che vengono sistematicamente respinti, accoglie invece a braccia aperte i cubani che toccano il suolo statunitense in arrivo con i barconi, favorendo così l’emigrazione clandestina e alimentando l’idea di una Cuba che strazia i suoi figli.

L’elenco dei “secondi fini” che io immagino possano avere i cubani sarebbe ancora molto lungo, e non basterebbe un libro. Non voglio annoiare.

Ai più volenterosi e a quanti siano disposti a uscire dagli schemi dei preconcetti suggerisco la visione di questi brevi documentari…


 



Commenti