Negli
anni Sessanta, tutta una variopinta tribù di giornalisti di sinistra,
turisti politici, nani e ballerine, si paracadutò su Cuba scrivendo
intensi pezzi di colore su una rivoluzione tropicale estremamente
«eccitante».
Quando la moda finì e Cuba restò sola,
molti dei turisti politici «scoprirono» improvvisamente che a Cuba non
c'era un pluralismo di partiti e che i cubani avevano importato il
sistema economico e sociale sovietico (forse che ce ne sono stati
concretamente degli altri, in questo XX secolo?).
Essi
scoprirono che a Cuba non c'era «democrazia», senza neppure informarsi
sul fatto che, secondo la corretta definizione di Aristotele, a Cuba c'è
certamente «democrazia» (dal momento che al potere sono i molti, che
sono anche i più poveri), mentre al massimo non c’è liberalismo.
Quando
Cuba si dissanguò eroicamente per aiutare le rivoluzioni in Nicaragua e
in Angola, questi nani e queste ballerine cominciarono a storcere il
naso a causa dello «statalismo militare» dell'intervento cubano, come se
ci fosse concretamente stato un altro modo possibile per lottare contro
i Contras del Nicaragua o l'Unita dell'Angola.
La
solitudine di Fidel Castro, questo grande rivoluzionario onore del XX
secolo e del suo Paese, è stata storicamente la solitudine del Che.
Costanzo Preve

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