8 dicembre 1928, il massacro dei bananieri colombiani. Una fazza, una razza

 

 

Uccidere chi si riunisce per una trattativa di pace a quanto pare non è una novità.
Bollare chi si oppone al potere come agente al soldo della propaganda sovietica non è una novità.
Diciamo che è uno stile, un marchio di fabbrica.


In Colombia, paese dell'America meridionale, agli inizi del Novecento i giacimenti di petrolio e le miniere d’oro, di platino e di altri metalli preziosi sono tutti in mano a multinazionali statunitensi e britanniche. La United Fruit Company ha il monopolio della produzione ed esportazione di banane, mentre altre multinazionali controllano quelle di cacao, tabacco e gomma naturale. La condizione dei lavoratori è ancora quella dell'epoca coloniale, ma con la nascente industrializzazione si forma una classe operaia che inizia a chiedere miglioramenti sociali. Sulla sua scia si muovono i contadini, le popolazioni indigene e gli artigiani. Questi movimenti danno vita alle prime organizzazioni sindacali e politiche che dal 1917 ricevono un forte impulso dalla rivoluzione d'ottobre in Russia, così le idee del socialismo cominciano a diffondersi anche in Colombia. Nel 1926 viene fondato il Partito Socialista Rivoluzionario, alternativo ai tradizionali partiti liberale e conservatore.
Le rivendicazioni sociali di questi movimenti allarmano l'oligarchia che governa il paese per conto della United Fruit Company e delle altre multinazionali, mentre le alte gerarchie della Chiesa cattolica lo sono ancora di più dal momento che sono costituiscono le più grandi proprietà terriere della Colombia. L'oligarchia lancia una campagna contro la “sovversione bolscevica” bollando gli oppositori come agenti pagati dal governo sovietico impegnati in un’attiva e costante propaganda comunista. Nel 1928 viene varata una legge che classifica come sovversiva e illegale l'azione politica e sociale dei sindacati e delle organizzazioni popolari.
Nello stesso anno scendono in sciopero i 25.000 lavoratori delle piantagioni di banane della United Fruit Ccompany, alla quale il governo ha concesso ampi territori nella regione caraibica della Colombia, e privilegi che altre compagnie straniere non hanno. La United Fruit Company respinge le richieste dei lavoratori come “sovversive” dando istruzioni al governo affinché usi il pugno di ferro. Immediatamente, gli ambienti governativi ed ecclesiastici lanciano una campagna contro gli organizzatori dello sciopero sostenendo che sono «agenti di Mosca sbarcati clandestinamente in Colombia per preparare l’insurrezione». Il presidente Abadía Méndez dichiara lo stato d'assedio e ordina all'esercito di fermare la “banda di sovversivi”. Il comando dell'operazione militare viene alloggiato nel complesso residenziale della United Fruit Company che mette a disposizione degli ufficiali denaro, liquori, sigarette e prostitute.
Il 5 dicembre 1928, i lavoratori in sciopero vengono convocati nella città di Ciénaga con la promessa che saranno ascoltati dal governatore della regione che intende partecipare alla trattativa con la United Fruit Company. Al suo posto trovano invece il generale Cortés Várgas, uomo di fiducia della Compagnia che ordina loro di sciogliere qualsiasi assembramento di più di tre persone.
Circa 5.000 lavoratori, molti accompagnati da mogli e figli, si riuniscono in una piazza per passarvi la notte. Alle prime luci dell'alba dell'8 dicembre, mentre i lavoratori e le loro famiglie ancora dormono, si presenta nella piazza il generale che intima loro di sgomberare. Subito dopo, ordina ai 300 soldati che ha schierato attorno alla piazza di aprire il fuoco. Uomini, donne e bambini vengono massacrati con le mitragliatrici che sparano dai tetti. I soldati entrano nella piazza finendo a colpi di baionetta i feriti. Arrivano i treni della United Fruit Company non per trasportare le banane, ma per trasportare i cadaveri che i soldati rimuovono dalla piazza e che scaricano in mare, come si fa con le banane. Alcuni vengono scaricati nelle fosse comuni, insieme anche a tanti feriti che muoiono sepolti vivi.

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